sabato 31 ottobre 2009

venerdì 30 ottobre 2009

giovedì 29 ottobre 2009

mercoledì 28 ottobre 2009

martedì 27 ottobre 2009

lunedì 26 ottobre 2009

venerdì 23 ottobre 2009

giovedì 22 ottobre 2009

mercoledì 21 ottobre 2009

martedì 20 ottobre 2009

sabato 17 ottobre 2009

Pesto alla Genovese

INGREDIENTI PER CONDIRE 600 GR. DI PASTA

Basilico (Ocimum Basilicum) - 50 grammi di foglioline di basilico
Il Basilico, possibilmente giovane e fresco, deve essere quello che presenta i requisiti qualitativi e varietali previsti dal Disciplinare che regola il corretto uso della denominazione "basilico genovese", sia utilizzato direttamente, sia in alternativa quale componente di un semilavorato composto da basilico genovese, fresco o conservato, olio extravergine di oliva di produzione ligure o ottenuto in regioni italiane contigue.
Olio extravergine di oliva - ½ bicchiere
Deve essere di origine ligure o prodotto in regioni italiane contigue e deve corrispondere ai requisiti del regolamento 796/02/ CEE.
Formaggio grattugiato - 6 cucchiai da cucina di Parmigiano Reggiano e 2 di Pecorino
Devono appartenere alle tipologie DOP "Parmigiano Reggiano" o "Grana Padano" e alla tipologia "Pecorino" (romano, toscano, sardo o siciliano).
Aglio - 2 spicchi
Quello tradizionalmente utilizzato.
Pinoli - 1 cucchiaio da cucina
Ottenuti da Pinus pinea devono essere prodotti nell'area mediterranea.
Noci (facoltative, in sostituzione ai pinoli)
Ottenute da "Juglans regia" devono essere di origine europeaSale grosso - qualche grano
PREPARAZIONE DEL PESTO GENOVESE
Per fare il vero Pesto genovese occorrono un mortaio di marmo e un pestello in legno, tanta diligenza e pazienza. La prima ricetta scritta del pesto che ci è giunta risale alla metà dell'800 e da allora, salvo sbrigative profanazioni nella tecnica d'esecuzione, non è cambiata. Per prima cosa bisogna lavare in acqua fredda il basilico, naturalmente genovese, e poi metterli ad asciugare su un canovaccio, nel frattempo nel mortaio si deve pestare uno spicchio ogni trenta foglie di basilico, la ritualità sta anche nelle dosi.
L'aglio deve essere dolce, non deve prevalere pur facendosi sentire nel sottofondo…insomma non può mancare! E non deve mancare neppure il sale grosso, aggiungetene qualche grano. A questo punto, ma non tutte insieme (sono merce preziosa non erbetta qualunque!), vanno aggiunte le foglioline di basilico e si inizia con un dolce movimento rotatorio e prolungato a pestarle nel mortaio.Ricordatevi che gli oli essenziali del basilico sono conservati nelle venuzze delle sue foglie e che per ottenere il miglior gusto, bisogna non pestare gravemente ma ruotare leggermente il pestello in modo da stracciare, non tranciare, le profumate foglioline. Il suono del pestello di legno contro i bordi del mortaio accompagnerà il nostro lavoro. Quando il basilico stilerà un liquido verde brillante sarà il momento di aggiungere i pinoli, una manciata. I pinoli che ammorbidiranno e amalgameranno la salsa, le regaleranno quel bouquet gentile che fa da contraltare all'aglio, sono un di più, il tocco d'artista. Quelli di qualità migliore sono nazionali e, naturalmente, sono più cari, ma in questa occasione vogliamo sfatare il mito della parsimonia dei genovesi e sceglieremo per il meglio, d'altronde i pinoli sono presenti in tutte le nostre ricette importanti.E' giunto il momento dei formaggi: parmigiano reggiano e pecorino sardo, entrambi DOP, adeguatamente stagionati. Ed infine l'olio extravergine d'oliva, versato a goccia, naturalmente italiano dal sapore non particolarmente aggressivo, non particolarmente intenso, ideale per sposare tutti gli ingredienti senza sopraffarli.Un'ultima raccomandazione:la lavorazione deve avvenire a temperatura ambiente e deve terminare nel minor tempo possibile per evitare problemi di ossidazione. A questo punto il pesto è pronto e può essere utilizzato per condire le troffie, le trofiette, le trenette avvantaggiae, i mandilli de saea e può essere aggiunto per dare gusto al minestrone di verdure. Oggi, nell'era della fretta, per fare il pesto si usa anche il frullatore, ma la migliore soluzione è sempre quella... "all'antica" !!!

venerdì 16 ottobre 2009

giovedì 15 ottobre 2009

martedì 13 ottobre 2009

lunedì 12 ottobre 2009

sabato 10 ottobre 2009

venerdì 9 ottobre 2009

giovedì 8 ottobre 2009

Delirio... in "tranquillità"

La stampa estera: "Colpo al premier"

Fonte: LaStampa




Il Times: Berlusconi si deve dimettere



La sentenza della corte costituzionale italiana che ha bocciato il "Lodo Alfano" è in primissimo piano sulla stampa estera che dà grande risalto alla vicenda con articoli di informazione, commenti e editoriali. La stampa americana, di norma poco reattiva rispetto alle vicende italiane, questa volta è molto interessata. The Washington Post titola «La massima corte respinge l’immunità per il premier italiano», e scrive che questa decisione «è uno dei colpi più seri ricevuti da Berlusconi nella sua quindicennale lotta con la magistratura italiana». Il New York Times titola a sua volta «Corte italiana rifiuta l’immunità per il premier» e scrive che si tratta di «un giudizio ch riapre i processi per corruzione contro di lui e peggiora la sua già indebolita posizione politica». Forti le reazioni anche sulla stampa britannica. Il Financial Times apre sulla vicenda col titolo a quattro colonne «Berlusconi perde l’immunità» e una foto che mostra il premier a capo chino con sullo sfondo dei corazzieri in divisa di gala. L’articolo commenta : «ieri sera il premier ha messo le basi per aprire un duro confronto col potere giudiziario quando ha denunciato la corte suprema di essere dominata da giudici di sinistra». Il Guardian scrive: «Corte italiana stabilisce che la legge di immunità per Berlusconi è incostituzionale» e osserva che la sentenza «sprofonda l’Italia in una tempesta politica» mentre rappresenta un «serio colpo per Berlusconi, già costretto sulla difensiva dai danni derivanti dallo scandalo di sesso e droga in cui è stato accusato di beneficiare dei servizi di prostitute». Di una decisione «drammatica» dell’alta corte parla a sua volta L’Independent che rileva come la replica di Berlusconi contro i giudizi abbia «alzato la pressione politica». Ora, aggiunge il giornale, diventa più probabile una riapertura dei processi contro di lui. Il Times sottolinea invece come dopo la decisione della corte «Berlusconi lotti per la sua carriera» e per la sua «sopravvivenza politica». «La drammatica decisione riaprirà diversi processi penali contro il premier e potrebbe portare al crollo del suo governo». «Silvio Berlusconi ha gettato vergogna su se stesso e sul suo paese con le sue buffonate sessuali e i suoi tentativi di evitare i processi. Ora si deve dimettere», si legge in un durissimo commento intitolato "Gotico italiano".Dalla Francia Le Figaro parla in prima pagina di un «Silvio Berlusconi in difficoltà dopo la perdita dell’immunità» mentre Liberation titola: «Invalidata l’immunità penale di Berlusconi», una decisione, spiega, che «potrebbe avere importanti conseguenze sul mandato di Berlusconi». In Spagna El Pais titola citando lo stesso premier - «Il tribunale è di sinistra, vado avanti lo stesso» - mentre anche El Mundo si concentra con lo scontro con la magistratura: «Berlusconi accusa i giudici rossi di utilizzare la giustizia come forma di lotta politica». Apertura o taglio molto alto su tutte le edizioni online dei giornali tedeschi per la sentenza della Corte costituzionale. Numerosi anche i commenti e gli editoriali: «Alla fine è stato messo un freno a Berlusconi», titola il settimanale progressista Die Zeit, che giudica la «coraggiosa» decisione della Consulta una «sorpresa». Per un altro settimanale, Der Spiegel, i «Giudici sguinzagliano la giustizia su Berlusconi»: «Nulla ha finora danneggiato il primo ministro, né le concubine, né le festicciole con una minorenne; ma adesso la Corte costituzionale ha tolto l’immunità a Berlusconi. È l’ultima chance per la giustizia di portarlo sul banco degli imputati. O troverà ancora una volta qualche trucchetto?», si chiede lo Spiegel. Apertura sul conservatore Die Welt: «La Corte toglie l’immunità a Berlusconi» e sulla Sueddeutsche Zeitung: «Berlusconi potrà essere processato». Titoli di primo piano anche sui quotidiani svizzeri ed austriaci: «La corte costituzionale cancella una legge controversa», scrive la Neue Zuercher Zeitung e «Berlusconi perde l’immunità» titola l’austriaco Der Standard,sottolineando la gioia dell’opposizione.

mercoledì 7 ottobre 2009

Costituzione Italiana


Art. 3
Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.


martedì 6 ottobre 2009

Lodo Alfano, slitta la sentenza...

Ghedini: «La legge è uguale per tutti, non necessariamente l'applicazione»

Il Pd: così legittima il diritto diseguale

L’attesa per la sentenza della Corte Costituzionale sul lodo Alfano alza il livello dello scontro tra maggioranza ed opposizione. Pd e Italia dei Valori attaccano Niccolò Ghedini, giudicando «preoccupante» l’arringa del legale del presidente del Consiglio che, davanti alla Consulta, ha sostenuto che «la legge è uguale per tutti, non necessariamente la sua applicazione». Le opposizioni lo considerano un «tentativo di legittimare l’applicazione del diritto disuguale» e accusano la maggioranza di fare «terrorismo» contro la Corte. Un attacco «violentissimo», controreplica l’avvocato di Silvio Berlusconi, che «in realtà è l’ennesimo tentativo di aggredire e condizionare la Corte Costituzionale addirittura durante la Camera di Consiglio» (...)

Continua alla FONTE (LaStampa)

domenica 4 ottobre 2009

Il Matrimonio per la Chiesa ...

Vangelo del Giorno


Liturgia e Omelie del giorno: LaChiesa.it


Vignetta, Vangelo e Commento: Gioba.it

Omelia: Gioba.it (Don Giovanni Berti)

Gesù è ancora una volta provocato e “messo alla prova” da questi rappresentanti religiosi del suo tempo, che vogliono trovare delle “falle” nella sua predicazione e nella sua pretesa di esser l’Inviato di Dio, così da poterlo metter in cattiva luce ed eliminarlo.Penso che anche il Cristo di oggi, cioè la sua Chiesa (che è il Corpo di Cristo in mezzo agli uomini) è messo alla prova in continuazione. La complessità attuale delle vicende umane interroga il Vangelo e mette in discussione gli insegnamenti che da esso sono ricavati e che la comunità dei credenti porta avanti.Il mondo nel quale la Chiesa si muove e annuncia Cristo non è affatto un mondo semplice e pacifico.Nel Vangelo di questa domenica gli “avversari” di Gesù lo mettono alla prova su una questione che anche oggi non lascia tranquilla la Chiesa: il matrimonio.E’oramai opinione comune che il matrimonio come valore e come istituzione concreta oggi è in crisi. Una crisi che si avverte chiara nell’aumento delle separazioni e divorzi, nell’aumento delle convivenze e il rimandare il matrimonio. Le generazioni più anziane sottolineano continuamente come quelle più giovani sono incapaci di legami forti e responsabili che superino le prime inevitabili difficoltà nella coppia.La Chiesa, specialmente qui in Italia, ha messo tra le sue priorità quella della difesa della famiglia e in particolare del matrimonio, constatando che nella solidità dell’istituto matrimoniale si fonda la salute educativa dei figli e il bene dell’intera società.E’ chiaro che non possiamo come cristiani non sentirci provocati, come Gesù nel racconto del Vangelo, da questa fragilità della relazione di coppia che genera tanta sofferenza e mette in crisi i singoli e la famiglia.La risposta di Gesù parte da lontano, dall’atto creativo stesso di Dio.Dio all’inizio ha creato la coppia umana, ha creato la relazione come fondamento della felicità umana. L’uomo non è fatto per stare solo. Dio crea unità non separazione, Dio tesse relazioni e non separazioni.La vicenda stessa di Gesù rivela ancor più chiaramente questo progetto del Padre. Gesù è Dio che prende la nostra carne e unisce il cielo alla terra. L’incarnazione e la resurrezione di Gesù nel suo vero corpo sono il “matrimonio” indissolubile tra Dio e l’umanità, noi.Questi sono i valori di fondo che stanno alla base dei rapporti umani.Di fronte a tanta fragilità, divisioni e sofferenze non è dunque il caso di puntare il dito e giudicare, ma dobbiamo fare con Gesù e richiamare i fondamenti della nostra umanità.Siamo creati capaci di relazione. Siamo capaci di creare unioni stabili e feconde. Non ci è impossibile.
Il nostro limite umano ci fa molto spesso sbagliare e cadere, ma questo non smentisce definitivamente (come molti pessimisti vorrebbero farci credere) che “l’amore vero è eterno” e non ci porta necessariamente a pensare che “nulla è stabile per sempre”.Quando incontro persone che stanno vivendo momenti di crisi di coppia o separazioni e divorzi, mi sento davvero provocato. La cosa che evito è quella di metter davanti leggi e minacce di castighi eterni. Non servono a nulla. La cosa che faccio è prima di tutto ascoltare e far di tutto per esser per loro “volto di Cristo” che non giudica ma ama. E non devo mai dimenticare che io non sono certo immune dalle fatiche della relazione umana e non ho nessun merito per sentirmi al di sopra. Sembra banale, ma credo che solo con il non-giudizio e la comprensione si può non spegnere la fiducia nell’amore per chi sta vivendo il fallimento dell’amore.L’importante è non rassegnarsi mai davanti ai fallimenti e non perdere la speranza che è possibile amare ancora, ed è possibile ricostruire anche le strade più disastrate.Mi spiace che molti divorziati che hanno iniziato una nuova storia d’amore, si sentano giudicati dai cristiani e soprattutto da noi pastori. Se vogliamo educare all’amore eterno non dobbiamo dimenticare che questo amore si insegna con l’amore stesso e non con il dito puntato e l’emarginazione. Questo discorso vale ovviamente anche per le tante coppie che vivono relazioni che sono fuori dalle nostre consuetudini ecclesiali, ma non per questo sono necessariamente maligne e false. Penso a chi sceglie una convivenza senza matrimonio o alle coppie omosessuali.“L’uomo non divida quello che Dio ha congiunto…”. Non creiamo dunque separazioni tra di noi, e non mettiamo tra noi e gli altri un muro di giudizio e condanne. Dio in Gesù si è unito con l’umanità fino a formare una sola carne. In questo troviamo la strada per insegnare l’amore, un amore oltre le fragilità, che non sono solo di pochi, ma che in fondo abbiamo tutti.

sabato 3 ottobre 2009

Addio alla Toga (di Luigi De Magistris)

Con la lettera seguente (che riporto integralmente) indirizzata a Giorgio Napolitano Presidente della Repubblica, Luigi De Magistris rassegna definitivamente le sue dimissioni da Magistrato, sua vera vocazione di vita, e lo fa con parole profonde, significative e dure... ... ...

Al Sig. Presidente della Repubblica

Piazza del Quirinale

ROMA

Sig. Presidente,

Le scrivo questa missiva soprattutto nella sua qualità di Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura. E’ una lettera che non avrei mai voluto scrivere. E’ uno scritto che evidenzia quanto sia grave e serio lo stato di salute democratico della nostra amata Italia. E’ una lettera con la quale Le comunico, formalmente, le mie dimissioni dall’ordine giudiziario. Lei non può nemmeno lontanamente immaginare quanto dolorosa sia per me tale decisione. Nonostante l’Italia è una Repubblica che si fonda sul lavoro – come recita l’art. 1 della Costituzione – non sono molti quelli che possono fare il lavoro che hanno sognato; tanti il lavoro non lo hanno, molti sono precari, altri hanno dovuto piegare la schiena al potente di turno per ottenere un posto per vivere, altri vengono licenziati come scarti sociali, tanti altri ancora sono cassintegrati. Ebbene io ho avuto la fortuna di fare il magistrato, il mestiere che ho sognato dal momento in cui mi sono iscritto all’Università di Giurisprudenza Federico II di Napoli, luogo storico della cultura giuridica. La magistratura è nel mio sangue, provengo da quattro generazioni di magistrati. Ho respirato l’aria di questo nobile e difficile mestiere sin da bambino. Uno dei giorni più belli della mia vita è stato quando ho superato il concorso per uditore giudiziario. Una gioia immensa che mai avrei potuto pensare potesse avere un epilogo così buio. E’ cominciata con passione, idealità, entusiasmo, ma anche umiltà ed equilibrio, quella che è stata anche la missione della mia vita professionale – come in modo dispregiativo disse il rappresentante della Procura Generale della Cassazione durante quel simulacro di processo disciplinare che fu imbastito nei miei confronti -: l’esercizio delle funzioni giudiziarie in ossequio alla Costituzione Repubblicana per tentare di dare una risposta concreta alla richiesta di giustizia che proviene dai cittadini in nome dei quali viene amministrata e che – contrariamente a quanto reputa la casta politica e dei poteri forti – sono tutti uguali davanti alla legge. Del resto Lei, sig. Presidente, che è il custode della Costituzione ben conosce tali inviolabili principi costituzionali e mi perdoni, pertanto, se li ricordo a me stesso. I modelli ai quali mi sono ispirato sin dall’ingresso in magistratura – oltre a mio padre, il cui esempio è scolpito per sempre nel mio cuore e nella mia mente – sono stati magistrati quali Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Ed è nella loro memoria che il mio faro sarà l’agenda rossa di Paolo portata con dignità immensa dal fratello Salvatore. Ho sempre pensato che chi ha il privilegio di poter fare quello che sogna nella vita deve dare il massimo per il bene pubblico e l’interesse collettivo anche a costo della vita. Ed è per questo che ho deciso di prendere le funzioni di Pubblico Ministero in una sede di trincea, di prima linea nel contrasto al crimine organizzato, la Calabria. Quella terra dalla quale i magistrati forestieri in genere scappano dopo aver svolto il periodo previsto dalla legge e dove invece io avevo deciso (ingenuamente) di restare.Ho dedicato a questo lavoro gli anni migliori della mia vita, dai 25 ai 40 anni, lavorando mai meno di dodici ore la giorno, spesso di notte, di domenica, le ferie un lusso al quale dover spesso rinunciare. Sacrifici enormi, personali e familiari, ma nessun rimpianto, rifarei tutto, con le stesse energie ed il medesimo entusiasmo.In questi anni difficili ma entusiasmanti, in quanto numerosi sono stati i risultati raggiunti, ho avuto al mio fianco diversi colleghi magistrati, significativi settori della polizia giudiziaria, validi collaboratori. Ho cercato sempre di fare un lavoro di squadra, di operare in pool. Parallelamente al consolidarsi dell’azione investigativa svolta si rafforzavano le attività di ostacolo che puntavano al mio isolamento, alla delegittimazione del lavoro, alle più disparate strumentalizzazioni. Intimidazioni, pressioni, minacce, ostacoli, interferenze. Attività che, talvolta, provenivano dall’esterno delle Istituzioni, il più delle volte dall’interno: dalla politica, dai poteri forti, dall’interno della magistratura. Sig. Presidente a Lei, del resto, non sfuggirà, quale Presidente del CSM, che l’indipendenza della magistratura può essere minata non solo dall’esterno dell’ordine giudiziario, ma anche dall’interno: ostacoli nel lavoro quotidiano da parte di dirigenti e magistrati, revoche ed avocazioni illegali, tecniche per impedire un celere ed efficace svolgimento delle funzioni. Ho svolto indagini preliminari nei settori più disparati, ma quando si trattava di reati contro la pubblica amministrazione divenivo un cattivo magistrato. Posso dire, con orgoglio, che il lavoro procedeva in modo assolutamente proficuo, in tutte le direzioni come impone il precetto costituzionale dell’obbligatorietà dell’azione penale, corollario del principio di uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge; la polizia giudiziaria espletava le funzioni con sacrifici enormi perché percepiva che risultati straordinari venivano raggiunti, le persone testimoniavano e davano il loro contributo. Lo Stato c’era ed era visibile in un territorio martoriato dal malaffare. Le inchieste venivano portate avanti tutte, non venivano insabbiate quelle contro i cosiddetti poteri forti, come troppe volte capitava e capita. Questo modo di lavorare il popolo calabrese – che piaccia o non piaccia al sistema castale – lo ha capito, mostrando sostegno e solidarietà. Non è poco, sig. Presidente, in una Regione in cui opera una delle organizzazioni mafiose più potenti del mondo. E che lo Stato funzionasse lo ha compreso bene anche la criminalità organizzata. Tanto è vero che si sono raffinate le nuove tecniche di neutralizzazione dei servitori dello Stato che si ostinano ad applicare la Costituzione Repubblicana.Non so se Ella, Sig. Presidente, condivide la mia analisi, a me pare che dopo la stagione delle stragi di mafia culminate nel 1992 con gli attentati di Capaci e di via D’Amelio e dopo la strategia della tensione delle bombe a grappolo in punti nevralgici del Paese, le mafie si sono cominciate ad istituzionalizzare. Hanno deciso di penetrare nelle radici e diffusamente nella Cosa Pubblica, nell’economia, nella finanza. Le mafie sono divenute il cancro della nostra democrazia. Controllano parte significativa del prodotto interno lordo del nostro paese, hanno loro rappresentanti nella politica, sono penetrate nelle Istituzioni a tutti i livelli ed in tutte le sue ramificazioni territoriali. Magistratura e forze dell’ordine nemmeno sono rimaste impermeabili. Una vera e propria emergenza democratica. Da sconfiggere in Italia e in Europa.Gli ostacoli più micidiali all’attività dei servitori dello Stato sono i mafiosi di Stato: quelli che indossano abiti istituzionali ma piegano le loro funzioni ad interessi personali, di gruppi, di comitati d’affari, di centri di potere occulto.Non mi dilungo perché credo che al Presidente della Repubblica tutto questo dovrebbe essere noto. Ebbene, oggi, Sig. Presidente, non è più necessario uccidere i servitori dello Stato, ci sarebbe il martirio, i funerali di Stato dove magari accade che il popolo prende a sputi e calci i simulacri del regime, può accadere che l’Europa ci metta sotto tutela, non vale la pena rischiare, non serve. Si può raggiungere lo stesso risultato con modalità diverse: al posto della violenza fisica si utilizza quella morale, la violenza della carta da bollo, l’uso illegale del diritto o il diritto illegittimo, le campagne diffamatorie della propaganda di regime, si scelga la formula che più piace.Che ci vuole del resto, sig. Presidente, per trasferire un magistrato scomodo, un poliziotto troppo curioso, un carabiniere zelante, un finanziere scrupoloso, un prete coraggioso, un funzionario che non piega la schiena, imbavagliare un giornalista che racconta i fatti. E’ tutto molto semplice, quasi banale. Per allontanare i servitori dello Stato o del bene pubblico li devi prima isolare, delegittimare, diffamare, calunniare. A questo servono i politici collusi, la stampa di regime al servizio dei poteri forti, i magistrati proni al potere, gli apparati deviati dello Stato.La solitudine è una caratteristica del magistrato, l’isolamento è un pericolo. Ebbene, in Calabria mentre le persone rispondevano positivamente all’azione di servitori dello Stato vincendo timori e paure di ritorsioni, spezzando omertà e connivenze, pezzi significativi delle Istituzioni contrastavano le attività di magistrati e forze dell’ordine, con ogni mezzo. Quello che si andava realizzando nel corso degli anni in Calabria sul piano investigativo non era noto in quanto la cappa esercitata anche dalla forza delle massonerie deviate impediva che si potesse conoscere quel che accadeva. Il resto del Paese non doveva sapere. Si praticava la scomparsa dei fatti. Quando le vicende sono cominciate ad uscire dal territorio calabrese l’attività di contrasto è divenuta ancor più violenta e repentina, invece che arrivare gli alleati è giunto il supporto alla borghesia mafiosa che soffoca la vita civile calabrese. E’ chiaro. L’azione dello Stato produceva risultati in termini di indagini, di fiducia nelle Istituzioni, di disvelamento dei legami tra mafia di tipo tradizionale e criminalità organizzata dei colletti bianchi, comprensione del come politici collusi, (im)prenditori criminali e pezzi deviati delle Istituzioni saccheggiano le immani risorse pubbliche a danno della stragrande maggioranza della popolazione, di come il mercato del lavoro è piegato ad interessi illeciti e che “l’appartenenza” consente di ottenere finanziamenti e lavoro, di come si controlla il voto e, quindi, si inquina la democrazia. Sono cose che non si possono far conoscere, sig Presidente, altrimenti il popolo prende coscienza, comprende che si fanno affari sulla pelle dei più deboli, si dissente e magari si attiva quella democrazia partecipativa e quella lotta al malaffare che fa paura al sistema di potere che opprime la nostra democrazia. Una presa di conoscenza e coscienza che poteva scatenare una sana e pacifica ribellione sociale.Ebbene, sig. Presidente, Lei dovrebbe conoscere – sempre quale Presidente del CSM - le attività che sono state messe in atto ai miei danni, spero abbia preso le dovute informazioni su quello che accadeva in Calabria, quello che è stato praticato per fermare il lavoro che stavo svolgendo in ossequio alla legge ed alla Costituzione. Avrà potuto notare che è stata messa in atto un’attività di indebito esercizio di funzioni istituzionali al solo fine di bloccare indagini che avrebbero potuto ricostruire fatti gravissimi commessi in Calabria (e non solo) da politici, di destra, di sinistra e di centro, da imprenditori, magistrati, esponenti dei servizi segreti e delle forze dell’ordine, professionisti. Ma questo non è tollerabile in un Paese ad alta densità mafiosa istituzionale! Come potevano un pugno di servitori dello Stato pensare di esercitare il loro mandato onestamente applicando la Costituzione!Sig. Presidente Lei, come altri esponenti delle Istituzioni, è venuto in Calabria, ha esortato i cittadini a ribellarsi al crimine organizzato e ad avere fiducia nelle Istituzioni. Perché, sig. Presidente, non è stato vicino ai servitori dello Stato che si sono imbattuti nel cancro della democrazia, nelle collusioni più terribili tra criminalità organizzata e poteri deviati? Non ho mai colto alcun segnale da parte Sua in questa direzione, anzi. Eppure, anche pubblicamente, avevo sperato in un Suo intervento: ero ancora nella fase della ingenuità istituzionale. Pensavo alla neutralità dei poteri, poi ho capito pagando il prezzo più amaro, in un’ingiustizia senza fine.Sono stato ostacolato, mi sono state sottratte le indagini, mi hanno trasferito, mi hanno punito solo perché ho fatto il mio dovere come poi ha sancito l’autorità giudiziaria competente. L’obiettivo, intanto, è stato raggiunto, anche se una parte del Paese aveva ed ha capito quello che è accaduto, ha compreso la posta in gioco e me lo ha testimoniato con un affetto che Lei non può nemmeno immaginare (la mia infinita risorsa aurea): l’assalto dei poteri forti che non accettano che si possa ricostruire la verità sulle scandalose deviazioni del potere.Ho denunciato fatti gravissimi all’autorità giudiziaria competente, la Procura della Repubblica di Salerno: me lo imponeva la legge e prima ancora la mia coscienza. Magistrati onesti e coraggiosi hanno avuto il solo torto di accertare la verità, ma questa era sgradita al potere ed allora anche loro dovevano pagare, in modo ancora più duro e salato (la lezione non era stata sufficiente). La logica di regime del colpirne uno per educarne cento utilizzata nel mio caso non era ancora idonea a scalfire quella parte della magistratura che è l’orgoglio del nostro Paese. Ci voleva un segnale forte, che provenisse dalle Istituzioni, magistratura compresa: la ragion di Stato (ma quale Stato sig. Presidente?) non può tollerare che magistrati liberi, autonomi ed indipendenti possano ricostruire fatti gravissimi che mettano in pericolo il sistema criminale di potere in cui si regge, in parte, il nostro Paese. Quando la Procura della Repubblica di Salerno – un pool di magistrati, non uno antropologicamente diverso, come è stato nel mio caso – ha adottato provvedimenti non graditi affatto a quel potere che aveva agito per distruggermi, ecco che il circuito mediatico-istituzionale, ai più alti livelli, fa filtrare – come nei più inqualificabili regimi autoritari - il messaggio perverso che è in atto una guerra tra Procure. Una menzogna di regime: nessuna guerra vi è stata. Era solo, come capirebbe anche mio figlio, il piccolo di 5 anni, una Procura che indagava ai sensi dell’art. 11 c.p.p. su magistrati di altro distretto e questi, per ostacolare le indagini, hanno, a loro volta, indagato i primi e me quale istigatore. Un mostro giuridico. Un’aberrazione di un sistema che si difendeva dalla ricerca della verità tentando di utilizzare lo schermo di una legalità, in realtà, solo apparente.Ebbene questa menzogna è servita per buttare fuori dalle indagini (e dalla funzioni di PM) tre magistrati ed uno di questi lasciarlo, addirittura, senza lavoro. Il messaggio doveva essere chiaro ed inequivocabile: non accada più! Basta! Capito!?Ebbene, sig. Presidente, io credo che Lei abbia errato in questa vicenda. Lo affermo con enorme rispetto per l’Istituzione che Lei rappresenta, ma con altrettanta sincerità e determinazione. Ricordo bene il Suo intervento – devo dire senza precedenti – dopo che furono eseguite le perquisizioni da parte dei magistrati di Salerno. Rimasi amareggiato, ma non meravigliato.Sig. Presidente, questo sistema malato mi ha di fatto strappato la toga che ho indossato con amore profondo. Il fatto che non mi è stato più consentito di esercitare questo mestiere stupendo mi ha spinto ad accettare un’avventura politica straordinaria.Sig. Presidente, un’azione inaccettabile quale quella condotta contro di me può strapparmi le amate funzioni, può portarmi via dal sogno professionale della mia vita, può allontanarmi dal mio lavoro, ma non piega la mia dignità, non lede la mia schiena dritta, non scalfisce il mio entusiasmo, non corrode la passione e la volontà di fare qualcosa di utile per il mio Paese.Nel mio animo, nel cuore e nella mente, sarò sempre magistrato.In Politica, quella con la P maiuscola, porterò gli stessi ideali con cui ho fatto il magistrato, mi accompagnerà la medesima sete di giustizia, i miei ideali e valori di sempre (dai tempi della scuola) saranno il faro del percorso che ho intrapreso. Darò il mio contributo affinchè i diritti e la giustizia possano affermarsi sempre di più e chi soffre possa utilizzarmi come strumento per far sentire la sua voce. Ed è per questo che, con grande serenità, mi dimetto dall’ordine giudiziario – dal lavoro più bello che avrei potuto fare, nella consapevolezza che non mi sarebbe più consentito esercitarlo dopo il mandato politico - con l’ulteriore impegno che cercherò di fare in modo che quello che è successo a me non accada più a nessuno e che tanti giovani intraprendano questo mestiere non con la mentalità burocratica e conformistica – magistralmente descritta da Piero Calamandrei nel secolo scorso –, come vorrebbe il sistema di potere consolidato, ma con la Costituzione della Repubblica nel cuore e nella mente.


Luigi de Magistris